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Le etichette che non voglio più

Dal lavoro all’alimentazione: la scelta è solo mia.

Ho da sempre un rapporto molto controverso con le etichette: non mi piacciono, il più delle volte fatico a ritrovarmi al 100% in queste, eppure finisco per usarle molto più spesso di quello che vorrei. Le uso talmente tanto per incasellarmi che finisco per farlo anche con gli altri.
Anche quando mi presento a qualcuno per la prima volta finisco per usare una sfilza di etichette: mi identifico con il mio lavoro, con le mie passioni, con le mie credenze.

Perché lo faccio? La risposta che mi sono data è: perché è più semplice.
È più semplice etichettarmi con un lavoro solo piuttosto che spiegare tutto quello che faccio. Anche su Linkedin alla fine ho optato per “Comunicazione”. Io non sono la comunicazione, al massimo faccio tante cose che riguardano la comunicazione – non tutte, ma così è più semplice. Non solo quindi uso le etichette per semplificare ma le uso anche per definirmi: per tantissimo tempo mi sono identificata con il mio lavoro. Ma ci sto lavorando su.

Ciao, sono Marta e sono una project manager/digital strategist/social media manager/content creator/…

Le etichette aiutano ad esprimersi – e questo in molte situazioni va bene – ma spesso finiamo per restarne intrappolati.
Non mi preoccupa più di tanto dover usare delle etichette per definire il mio lavoro: ho fatto pace con me stessa quando ho capito che voglio fare tante cose in ambito comunicazione e a seconda di chi ho davanti mi esprimo in un modo piuttosto che in un altro. Mi preoccupa però se, come è successo in passato, finisco per identificarmi solo ed esclusivamente con il mio lavoro. Io non SONO una project manager/digital strategist/etc.
Questo è il mio lavoro, è quello che faccio per guadagnarmi da vivere, ma io sono molto di più.

Il lavoro è il primo ambito dove mi sono accorta di usare tantissime etichette, e come lo facevo per me capitava anche che lo facessi con le altre persone, ma non è stato l’unico. Uso etichette anche quando si tratta di definire le mie passioni, i miei hobby, le mie credenze, le mie opinioni e anche la mia alimentazione. Da un paio di anni mi sono etichettata anche come “vegetariana”. Non mangio carne e pesce quindi è corretto, eppure di recente sento che non mi sta più bene.

Sei vegetariano, vegano, onnivoro, pescetariano, flexitariano…

Da quando ho smesso di mangiare carne e pesce per motivi ambientali sono finita (e mi sono messa) nella categoria dei vegetariani. Se penso al motivo principale per cui ho fatto questa scelta anni fa penso subito all’ambiente. Eppure se fosse così dovrei essere vegana, non vegetariana, perché anche le uova e i latticini – soprattutto questi ultimi – hanno un grande impatto ambientale. Quindi sono una vegetariana che non sta facendo abbastanza per il pianeta: questo è quello che mi ritrovo a pensare. Non ho fatto il veganuary ma spesso negli ultimi mesi mi è capitato di mangiare vegano, però sento sempre che SPESSO non è abbastanza, non è sempre.

Seguo moltissime persone su Instagram che sono vegane e alcune di loro la fanno sembrare la cosa più semplice del mondo: per me non lo è. Ho provato a chiedermi perché non fosse così semplice anche per me seguire un’alimentazione vegana e le risposte che mi sono data sono le seguenti:

  • sono abituata a consumare uova e latticini
  • i latticini mi piacciono
  • uova e latticini sono molto pratici/comodi
  • forse non ho una forte motivazione etica
  • non ne consumo in maniera eccessiva
  • a volte mi faccio problemi se sono a casa di altri che non sono vegani
  • quando esco a cena può essere limitante

Queste sono le motivazioni principali che mi sono venute in mente.

Come dico sempre quando si parla di sostenibilità, ognuno ha il suo grado di sensibilità verso le varie tematiche. E ognuno ha degli ambiti che gli sono più familiari e in cui è più semplice cambiare: io ad esempio faccio meno fatica di quanto pensassi ad essere più sostenibile se si parla di vestiti. So però che per tante persone è difficile – per le motivazioni più disparate. So anche che nel mio caso può essere una questione di abitudine: dovrei “allenarmi” a mangiare vegano per renderla un’abitudine. Un po’ come ho fatto per tutte le altre abitudini che ho voluto introdurre quest’anno, dalla lettura di X pagine al giorno agli esercizi X volte a settimana.
Allora forse non è solo una questione di abitudine…

È questione di sostenibilità

Da quando sono vegetariana mi è capitato di mangiare carne e pesce. Eh già. A volte non lo sapevo (l’ho scoperto dopo), altre volte l’ho fatto perché non c’era alternativa. Sul fatto di non avere alternativa molte persone potrebbero avere da ridire, lo so perché mi sono imbattuta in discussioni simili. Forse nel mio caso l’alternativa c’era ma in quel momento non era disponibile per me: ad esempio, mi era capitato di fermarmi in un rifugio ad alta quota e non mi ero portata il pranzo al sacco perché ero convinta che di trovare qualcosa di vegetariano, anche una semplice pasta al pomodoro o della polenta. E invece no: restava solo la zuppa del giorno – già fatta – che aveva al suo interno della carne. Avrei potuto fare molta attenzione e scovare uno a uno i pezzi di carne e non mangiarli: ma in quel caso che fine avrebbero fatto?

Ammetto che ci ho pensato a lungo e da lì ho cominciato a riflettere un po’ più in grande.
Da allora, ho letto moltissimo sull’impatto della dieta vegana rispetto a quella vegetariana e a quella onnivora e mi sono accorta che tutto quello che sapevo valeva per me, che vivo in Italia e che nel 99,9% ho un’infinità di alternative tra cui scegliere. Ma questo non vale per tutti. Non parlo solo dei casi più estremi, come ad esempio alcune popolazioni indigene che ancora oggi vivono di caccia, ma parlo anche di isole in cui la pesca è una fonte primaria, sia per l’alimentazione che per l’economia.

Ecco, in questi casi che si fa?

Torniamo un attimo alle etichette

Sento già molti vegani che mi direbbero che gli animali non vanno sfruttati: e sono d’accordo.
Ed è proprio per una questione di sfruttamento e di benessere animale che molti vegani hanno scelto di sposare questa filosofia. Essere vegani quindi, non si limita all’alimentazione, ma comprende ogni ambito: molti vegani ad esempio non comprano articoli in pelle in quanto derivato animale o non comprano cosmetici testati sugli animali. Non solo, sempre più vegani si sono legati anche al concetto di antispecismo.

Cito, direttamente da Treccani, la definizione di antispecismo: pensiero, movimento, atteggiamento che, in opposizione allo specismo, si oppone alla convinzione, ritenuta pregiudiziale, secondo cui la specie umana sarebbe superiore alle altre specie animali e sostiene che l’essere umano non può disporre della vita e della libertà di esseri appartenenti a un’altra specie.

In quest’ottica quindi, si vede alle origini del veganismo il pensiero antispecista.
È così per tutti i vegani? Ni. Per molti sì, ma non per tutti. C’è chi dice che queste persone – che sono vegane ma che non sono antispeciste – non dovrebbero definirsi vegane, c’è chi non tollera “eccezioni”. Qualcun’altro definirebbe queste persone – che sono vegane e antispeciste senza eccezioni – “nazivegane”. Ed ecco di nuovo tutte queste etichette che ci ingabbiano.

Credo che ognuno debba essere libero/a di definirsi come meglio crede – con o senza eccezioni. La cosa importante per me è essere accoglienti e gentili con chi sta provando a modificare le sue abitudini.
Io anche se non mangio carne e pesce non voglio più definirmi vegetariana e non voglio più sentirmi un’incoerente se una volta in un rifugio ho mangiato una zuppa con dello speck.

Quindi che si fa?

Anche in questo caso il discorso è complesso. Ho provato però a riassumere delle “linee guida” che vanno bene per me:

  • per motivazioni ambientali ho un’alimentazione plant based
  • se mai rifarò delle eccezioni è perché davvero non ho alternative: per me non mangiare dopo un trekking di 3 ore, avendone altre 3 davanti, non è un’opzione
  • cercherò di usare meno etichette possibili, che si tratti di alimentazione, lavoro, passioni, credenze o altro
  • cercherò di non giudicare come le altre persone utilizzano le etichette
  • mi auguro di imparare a dare il giusto peso alle etichette che gli altri danno a me – ci sto lavorando.

Parliamone

E tu? Cosa ne pensi delle etichette? Ce ne sono alcune che usi in particolare o che ti piacerebbe smettere di usare?

Ti aspetto su: marta@gentilmenta.com

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