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Benessere animale: l’etichetta che non ci meritavamo

Benessere animale: la nascita dell’etichetta

Siamo nel dicembre 2020, quando il Consiglio Europeo ha proposto l’adozione di una etichetta UE sul benessere animale. L’obiettivo dell’etichetta, come riporta WiseSociety, era:

  1. migliorare il benessere del maggior numero possibile di animali da produzione alimentare;
  2. aumentare la credibilità e la trasparenza dei mercati;
  3. consentire ai consumatori di compiere scelte alimentari più informate.

La proposta fatta era su base volontaria (quindi non obbligatoria o vincolante) e prevedeva standard di benessere degli animali superiori a quelli della legislazione dell’UE, che permettevano di poter marchiare il proprio prodotto alimentare con il marchio europeo “benessere degli animali”.

Ma cosa serviva per mettere il marchio “benessere animale”?

I requisiti, almeno sulla carta, si riferivano a tutti gli stadi della vita dell’animale, dall’allevamento, al trasporto, fino alla macellazione. Ma dove è possibile vedere questi requisiti? Spolier: è più facile trovare un ago in un pagliaio. Se vi volete addentrare, ve li lascio qui.

Il Ministro delle Politiche Agricole Stefano Patuanelli e il Ministro della Salute Roberto Speranza, in collaborazione con Accredia, hanno presentato il loro progetto di etichettatura nazionale per il benessere animale. Progetto che prevedeva anche l’istituzione del Sistema di Qualità Nazionale Benessere Animale (SQNBA).

E su cosa si basava il progetto?

Ce lo dice AnimalEquality: il progetto, proposto nel Decreto Rilancio, vorrebbe etichettare con “benessere animale” anche prodotti provenienti da allevamenti dove si praticano operazioni che vanno esplicitamente contro le direttive europea in materia di protezione degli animali (come i prodotti provenienti da scrofe in gabbia o i suini che hanno subito il taglio della coda). 

Non solo, continua AnimalEquality, la certificazione prende in considerazione solo gli ultimi mesi di vita degli animali, senza tenere conto delle condizioni in cui versano durante tutta la loro vita, e abbassando drasticamente gli standard all’interno degli allevamenti.

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La denuncia delle associazioni

Di fronte a così poca chiarezza e trasparenza, le associazioni italiane – Animalisti Italiani, CIWF Italia Onlus, Confconsumatori, ENPA, Essere Animali, Federazione nazionale Pro Natura, Lav, LEIDAA, Legambiente, OIPA, LIPU, The Good Lobby – hanno quindi deciso di unirsi e denunciare questa forma di etichettatura poco trasparente e, al contrario, molto ingannevole. È nata così la “Coalizione contro le #BugieInEtichetta. Più che un’etichetta affidabile mi sembra l’ennesimo caso – anche poco mascherato – di greenwashing.

Il benessere animale è una questione di soldi

Ebbene sì, a costo di essere un po’ monotona, ma si torna sempre qui, al profitto (di pochi) e ai soldi. Infatti, grazie alla certificazione di “benessere animale”, le aziende che vi aderiscono avranno anche priorità di accesso ai fondi PAC (politica agricola comune, già citata anche nell’articolo sul docu film Food For Profit) e PNRR.

Una domanda però, mi sorge spontanea

Come può un prodotto che proviene da un animale (che è stato sfruttato, o ucciso, o entrambi) avere l’etichetta “benessere animale”? Cercando, leggendo, spulciando online, mi sono imbattuta in un’indagine di AltroConsumo – molto interessante – proprio sul benessere animale.

E cosa ne è uscito?

  • Il 96% degli intervistati ritiene importante introdurre nuove norme per garantire il benessere degli animali da allevamento, il 63% lo considera molto importante;
  • 1/3 non è disposto a pagare un sovrapprezzo per prodotti con questo marchio, ma 3/4 sì (e rieccoci a parlare di soldi);
  • il 30% ha detto che per risparmiare passerebbe a legumi o sostituti vegetariani, mentre il 24% ridurrebbe il consumo di carne.

Sempre nell’indagine emerge che la maggioranza degli intervistati/e non si definisce esperta in materia di benessere animale. Nonostante questo, per le risposte che hanno dato, hanno fatto capire che per loro – almeno sulla carta e in fase di acquisto – il benessere animale conta. Motivo in più per l’industria della carne per utilizzare etichette di “benessere animale” anche se del tutto infondate.

La nostra voce può farsi sentire anche attraverso le scelte che facciamo, attraverso quello che compriamo, o che non compriamo – ricordiamocelo.

Parliamone

E tu? Cosa ne pensi del benessere animale? Ti aspetto su marta@gentilmenta.com

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